Italia prima per antibiotico resistenza. Servono più infermieri

Italia prima per antibiotico resistenza. Servono più infermieri

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Investire oggi sugli infermieri significa risparmiare domani in termini di trilioni di euro

Su 33000 morti in Europa, 11000 sono italiani.

Entro il 2050 i decessi per antibiotico-resistenza supereranno di gran lunga i decessi per tumore, diabete o incidenti stradali con una previsione di costi che supera i 100 trilioni di dollari.

L’antibiotico resistenza è un fenomeno che negli anni è stato sottovalutato, in particolare in Italia. Anni e anni di menefreghismo e ignoranza ci hanno portato a diventare il secondo paese in Europa per antibiotico resistenza.

In Italia dal 7 al 10 per cento dei pazienti va incontro a un’infezione batterica multi-resistente.

Le infezioni correlate all’assistenza colpiscono circa 284.100 pazienti l’anno che porteranno entro il 2050 a 450.000 decessi, 10 milioni nel mondo.

Per combattere l’antibiotico resistenza sono stati messi in campo molte strategie e strumenti, tranne una, proprio quella che le evidenze internazionali indicano come la migliore in assoluto.

Secondo uno studio dell’università della Pennsylvania (Usa), emerge che aumentando un paziente ad un infermiere (con una media di 5,7 pazienti) l'incidenza dell'infezione urinaria da catetere vescicale aumenta di un caso ogni mille pazienti. Non vogliamo immaginare quando i pazienti diventano 10 o 12 per infermiere, anche di più in alcune realtà.

Secondo un altro studio realizzato in Gran Bretagna, quando la gestione infermieristica passa da 10 a 6 pazienti la mortalità si riduce al 20%.

Noi del Nursing Up lo ribadiamo da anni (inascoltati) nei tavoli che contano.

I ricercatori specificano che sostituire l’infermiere con altre figure non riduce la mortalità.

Secondo uno studio in California, effettuato su medicine e chirurgie, il rapporto ottimale infermiere/paziente sarebbe 1 a 6, anche se lo stato della California impone per legge che il rapporto sia di 1 a 5, ciò fa risparmiare soldi, infezioni e morti.

Un vero affare, per chi riesce a capirlo.

In Italia la situazione è complicata. Si verificano circa 450-700 mila infezioni in pazienti ricoverati in ospedale (in particolare infezioni urinarie, ferita chirurgica, polmoniti e sepsi).

Gli esperti stimano che circa il 30% siano potenzialmente prevenibili e che nell’1% dei casi siano direttamente causa di morte.

La domanda ci viene spontanea: prevedibile da chi ?

Dall’infermiere chiaramente, ma quando il personale è all’osso è difficile prevedere e prevenire.

L’infermiere, in alcune realtà italiane, lavora con un rapporto paziente/infermiere triplo o quadruplo, rispetto al rapporto Californiano (1 infermiere ogni 5 pazienti, per legge).

In alcuni Paesi civili/avanzati come l'Australia è stato già stabilito il numero 'ideale' per garantire il paziente: un infermiere ogni 4 assistiti.

Studio Lancet 2014: Ogni volta che aumenti 1 paziente ad un infermiere aumenta l’indice di burnout del 23%, aumenta del 7% la mortalità del paziente, aumenta del 7% che l’infermiere non si renda conto delle complicanze a cui il paziente sta andando incontro.

Maggiore sarà il numero dei pazienti in carico all’infermiere e maggiore saranno le cure che verranno a mancare: cambio postura (per evitare lesioni da pressione), igiene orale, educazione sanitaria a paziente/famiglia, sorveglianza adeguata (quantità urine, tipo di respiro, etc etc), dialogo con il paziente, osservazione, preparazione alla dimissione, etc etc.

Un dato preoccupante che emerge è la volontà degli infermieri di cambiare lavoro appena possibile.

Il 36% degli infermieri italiani lascerebbero subito il paese, causa le condizioni indicibili e la retribuzione sproporzionata ai rischi e responsabilità oltre al costo della vita.

Rischi e responsabilità enormi.

Dagli studi emerge anche che il 78% dei pazienti capisce l’infermiere e si sente ascoltato e rispettato.

Onore a questi infermieri.

Sembra che alla politica italiana non interessi la salute degli italiani e nemmeno di cosa dicono le evidenze internazionali.

Investire oggi sugli infermieri significa risparmiare domani in termini di trilioni di euro.

Non da sottovalutare anche l’impatto ambientale che si avrebbe risparmiando l’utilizzo di antibiotici.

Migliorare l’assistenza infermieristica significa meno morti e meno infezioni e di conseguenza meno antibiotici, meno spesa sanitaria e perfino la natura ci ringrazierebbe.

L’obiettivo adesso è quello di rallentare lo sviluppo dell’antibiotico resistenza fino a renderlo compatibile con il tasso di scoperta di nuovi farmaci.

Anche perché dagli anni 80 a oggi il tasso di scoperta dei nuovi antibiotici si conta sulle dita di una mano.

Anche l’utilizzo dei vaccini ridurrebbe la necessità degli antibiotici, ed aiuterebbe a combattere l’aumento delle infezioni da batteri resistenti ai farmaci.

Esempio i vaccini proteggono dal batterio Streptococcus pneumonia che causa una polmonite che uccide più di 800.000 bambini ogni anno, una copertura universale farebbe risparmiare milioni di morti e denaro.

Il 50% degli antibiotici venduti in Italia è destinato agli allevamenti e agricoltura altro fenomeno da combattere oltre all’uso improprio degli antibiotici in campo ospedaliero.

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