TUTELA LAVORATRICE MADRE

TUTELA LAVORATRICE MADRE

Art.37 della Costituzione Italiana recita: ‘’La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione”.

Il 26/03/2001 arriva il D. Lgs. n. 151 denominato “Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e di sostegno della maternità e della paternità” che tutela la donna durante la maternità e garantisce il diritto del bambino ad un’adeguata assistenza da parte di entrambi i genitori.

L’art.3 ribadisce il “divieto di discriminazione fondata sul sesso”, sancito nei primi articoli della legge 903/1977, legge di parità, e agli articoli 25 e seguenti del Codice Pari Opportunità (D. Lgs. 198/06) in particolare ad ogni trattamento meno favorevole in ragione dello stato di gravidanza, nonchè di maternità o paternità, anche adottive. È vietata qualsiasi discriminazione fra uomini e donne per quanto riguarda mansioni, progressione nella carriera e attribuzione delle qualifiche. Le lavoratrici a tempo parziale hanno diritto a tutte le indennità previste in proporzione all’orario ridotto.

Art 6 all’art.15 del T.U. sono indicate le norme che si occupano della prevenzione e della sicurezza della lavoratrice madre sul posto di lavoro. Queste norme sono finalizzate alla tutela, delle madri naturali, adottive o affidatarie, sino a 7 mesi di età del figlio.

Durante il periodo della gestazione e fino a 7 mesi dopo il parto la madre non può essere adibita a lavori pericolosi, faticosi e insalubri. Il datore di lavoro è tenuto a valutare i rischi specifici esistenti per le lavoratrici in stato di gravidanza, le puerpere e le madri adottive o affidatarie, derivanti dall’esposizione ad agenti fisici, chimici o biologici, individuare le misure di protezione da adottare e informare le lavoratrici e i rappresentanti per la sicurezza. Se la lavoratrice non può essere adibita ad altre mansioni, il servizio ispettivo del Ministero del lavoro competente per territorio, può disporre l’interdizione dal lavoro.

È vietato adibire le lavoratrici al lavoro notturno, dalle ore 24 alle ore 6, per tutto il periodo della gravidanza e fino al compimento di un anno di età del bambino. Non c’è l’obbligo al lavoro notturno per la lavoratrice madre con un figlio di età inferiore a tre anni, per il lavoratore padre convivente con la stessa, per la lavoratrice o il lavoratore che sia l’unico genitore affidatario di un figlio convivente di età inferiore a dodici anni per la lavoratrice o il lavoratore che abbia a proprio carico un soggetto disabile ai sensi della l.104/92.

Durante il periodo di gravidanza la lavoratrice ha diritto a permessi retribuiti per effettuare esami prenatali, accertamenti clinici ovvero visite mediche specialistiche, nel caso in cui questi vengano eseguiti durante l’orario di lavoro. Per la fruizione di tali permessi la lavoratrice è tenuta a presentare al datore di lavoro apposita documentazione attestante la data e l’orario di effettuazione degli esami stessi.

Le donne lavoratrici e il lavoratore hanno diritto alla conservazione del posto di lavoro per un periodo che va dalla gravidanza fino al compimento del primo anno di età del bambino. Si applica anche alle lavoratrici affidatarie, adottive che sia temporaneo o definitivo. In caso di licenziamento la lavoratrice ha diritto ad essere reinserita nel proprio posto di lavoro entro novanta giorni dal licenziamento stesso.

Il divieto di licenziamento non è valido nel caso di: Colpa grave della lavoratrice, costituente giusta causa, tenuto conto delle particolari condizioni psicofisiche, cessazione dell’attività dell’azienda, o di un ramo di essa nel caso in cui la lavoratrice non possa essere adibita ad altre mansioni equivalenti, per scadenza del termine; esito negativo della prova. Il divieto di licenziamento si estende anche al padre lavoratore che fruisce del congedo di paternità fino al compimento di un anno di età del bambino.

La risoluzione consensuale del rapporto di lavoro o la richiesta di dimissioni presentate dalla lavoratrice, durante il periodo di gravidanza , e dalla lavoratrice o dal lavoratore durante i primi tre anni di vita del bambino o nei primi tre anni di accoglienza del minore adottato o in affidamento, devono essere convalidate dal servizio ispettivo del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali competente per territorio. Non sono tenuti al preavviso, e hanno comunque diritto alle indennità previste da disposizioni di legge e contrattuali per il caso di licenziamento.

La legge 30 dicembre 1971 n° 1204 ed il relativo regolamento di attuazione DPR n.1026 del 25/11/76 costituisce il fondamento giuridico per la tutela della lavoratrice madre.

Con la legge quadro n. 53/2000, “Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi della città”. Successivamente, il 26/03/2001, è stato deliberato il D. Lgs. n. 151 denominato “Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e di sostegno della maternità e della paternità” che tutela la donna durante la maternità e garantisce il diritto del bambino ad un’adeguata assistenza da parte di entrambi i genitori.

Solo dal 2008 il trattamento dei genitori adottivi/affidatari è stato equiparato a quello dei genitori naturali in materia di congedi di maternità, parentali e paternità. Con il D.Lgs. n. 80/2015 e successivo D.lgs 148/2015 sono state introdotte alcune modifiche importanti all’art. 32 del T.U. Misure a favore della famiglia sono stati poi inseriti nelle leggi di bilancio 2017, e ultimissima Legge di bilancio 145/2018 entrata in vigore il 1°gennaio 2019 con tante novità.

Congedo obbligatorio per i papà, aumento bonus nido, modifiche al congedo maternità, agevolazioni per le lavoratrici madri ad accedere allo smart warking.

La flessibilità del congedo di maternità, che prevedeva l’opzione di lavorare fino all’ottavo mese con la legge di bilancio 2019 introduce la possibilità di lavorare anche durante il nono mese di gravidanza, per fruire interamente dei 5 mesi obbligatori dopo il parto, a condizione che il medico competente attesti che non porti pregiudizio alla salute della donna e del bambino. Il periodo di flessibilità può essere interrotto per malattia o su istanza della lavoratrice.

In caso di adozione nazionale il congedo di maternità spetta alla lavoratrice madre o in alternativa al lavoratore padre, nei primi 5 mesi successivi più il giorno dell’effettivo ingresso del minore in famiglia anche qualora il minore raggiunga la maggiore età durante il congedo.

In caso di adozione (o affidamento) internazionale il congedo di maternità può essere fruito entro i 5 mesi successivi all’ingresso del minore in Italia più il giorno dell’ingresso stesso. Ferma restando la durata massima di cinque mesi. Durante il periodo di permanenza all’estero può chiedere un congedo non retribuito, senza diritto a indennità.

In caso di ricovero del neonato o del minore adottato/affidato, in una struttura pubblica o privata, la madre può sospendere il congedo post partum, riprendendo l’attività lavorativa e differendo la fruizione del congedo residuo a partire dalla data di dimissione del bambino. Tale diritto può essere esercitato una sola volta per ogni figlio con attestazione medica che attesti la compatibilità dello stato di salute della madre con la ripresa dell’attività lavorativa.

L’interruzione spontanea o terapeutica della gravidanza avvenuta entro il 180° giorno dall’inizio della gestazione si considera aborto. L’aborto è considerato “malattia” fino al recupero psicofisico. Se, invece l’interruzione di gravidanza si verifica dopo il 180° giorno (compreso) o nei casi di bambino nato morto o deceduto successivamente al parto, la lavoratrice ha diritto a cinque mesi di astensione obbligatoria con relativa indennità di maternità, salvo che non si avvalga della facoltà di riprendere l’attività lavorativa.

Comma 1, art.21 del T.U. Entro il 7° mese dall’inizio della gestazione, le lavoratrici devono presentare al datore di lavoro e all’ente che eroga l’indennità, apposita domanda corredata da certificato medico attestante la data presunta del parto. Successivamente entro 30 gg, la lavoratrice deve presentare il certificato di nascita del figlio, o la dichiarazione sostitutiva. Per quanto riguarda l’INPS la domanda di maternità (o paternità) e la successiva comunicazione della nascita e delle generalità devono essere presentate in modalità telematica attraverso uno dei seguenti canali:

- Web - www.INPS.it - Servizi on line (con accesso tramite pin dispositivo).

- Contact Center Integrato - n. 803164 gratuito da rete fissa o n. 06164164 da rete mobile.

- Patronati.

Durante i primi sette mesi della gravidanza può avvalersi del congedo di maternità anticipato previo accertamento da parte del Servizio Sanitario Nazionale:

- Nel caso di gravi complicanze nella gravidanza.

- Per problemi di salute che mettono a rischio la gravidanza

- Quando le condizioni di lavoro o ambientali siano pregiudizievoli alla salute della donna e del bambino.

- Quando le mansioni di lavoro sono pregiudizievoli per la gravidanza e non è possibile lo spostamento della lavoratrice ad altre mansioni.

Nel caso di gravi complicanze o problemi di salute la futura madre deve presentare la domanda di interdizione alla Azienda Sanitaria Locale competente, assieme al certificato medico di gravidanza. Decorsi 7 giorni dalla presentazione la domanda si intende accolta e la data di inizio dell’astensione al lavoro coincide con il primo giorno di assenza dal lavoro giustificato dal certificato medico rilasciato alla lavoratrice.

In caso di ambiente di lavoro non salubre o impossibilità al cambio di mansioni, la domanda può essere presentata dalla lavoratrice oppure dal datore di lavoro stesso alla Direzione Territoriale del Lavoro. Da domanda accolta entro 7 giorni dalla presentazione e la data di inizio dell’astensione al lavoro corrisponde con la data di rilascio del provvedimento che deve essere portato a conoscenza del datore di lavoro.

La prestazione economica è a carico dell’INPS per tutto il periodo di congedo. La lavoratrice ha diritto di beneficiare di eventuali miglioramenti previsti dalla legge o da accordi collettivi che le sarebbero spettanti durante l’assenza. 

  L’indennità di maternità spetta fino al termine del 7° mese dopo il parto. I periodi di congedo di maternità devono essere computati nell’anzianità di servizio a tutti gli effetti, compresi quelli relativi alla tredicesima mensilità o alla gratifica natalizia e alle ferie. Gli stessi periodi sono considerati, ai fini della progressione nella carriera, come attività lavorativa, quando i contratti collettivi non richiedano a tale scopo particolari requisiti. Le ferie e le assenze eventualmente spettanti alla lavoratrice ad altro titolo non vanno godute contemporaneamente al congedo di maternità. Il trattamento economico di maternità a carico dell’INPS spetta anche in caso di cessazione del rapporto di lavoro per scadenza del termine che si verifichi durante i periodi di maternità. Spetta inoltre alle lavoratrici che, all’inizio del congedo, siano sospese, assenti dal lavoro senza retribuzione o disoccupate da non più di 60 giorni.

Il padre può richiedere il congedo di paternità alle stesse condizioni previste per la madre, a prescindere da fatto che la stessa sia lavoratrice o meno, in caso di morte o grave infermità della stessa ed in caso di abbandono del figlio o di affidamento esclusivo al padre. Il congedo di paternità, che decorre dalla data in cui si verifica uno degli eventi suddetti (morte, grave infermità e così via), coincide temporalmente con il periodo di congedo di maternità non fruito dalla lavoratrice madre. In caso di madre non lavoratrice, il congedo di paternità termina al terzo mese dopo il parto. In caso di parto prematuro con ricovero del neonato in una struttura ospedaliera, il congedo di paternità può essere differito, in tutto o in parte, alla data di ingresso del bambino nella casa familiare. In caso di adozioni o affidamenti al padre spetta il congedo di paternità per tutta la durata del congedo di maternità o per la parte residua, oltre a quanto già previsto, anche in alternativa alla madre che vi rinunci anche solo parzialmente. Il trattamento economico, previdenziale e normativo è uguale a quello previsto per le lavoratrici.

Il congedo parentale spetta ad entrambi i genitori, anche congiuntamente, fino al compimento dei 12 anni di età del bambino per un periodo complessivo tra i due genitori non superiore a 10 mesi, elevabili ad 11 qualora il padre lavoratore si astenga dal lavoro per un periodo continuativo o frazionato non inferiore a tre mesi. In caso di parto plurimo ciascun genitore ha diritto a fruire del numero di mesi previsti per ogni figlio. Può essere fruito dai genitori adottivi o affidatari, qualunque sia l’età del minore entro 12 anni dall’ingresso del minore in famiglia, non oltre il raggiungimento della maggiore età. Le domande di congedo parentale devono essere presentate all’Inps come per quello maternale. Il preavviso al datore di lavoro va dato non meno di 5 giorni prima della fruizione, indicando l’inizio e la fine del periodo di congedo.

Il congedo parentale su base oraria ai sensi del D.Lgs. 15 giugno 2015 n. 80 non è cumulabile con altri permessi disciplinati dal T.U. maternità e paternità.

Il congedo orario può essere fruito sia dal personale a tempo pieno sia dal personale a tempo parziale per periodi minimi di un’ora giornaliera la cui somma nell’arco di ciascun mese di utilizzo corrisponda comunque a giornate intere. Per la fruizione dei congedi su base oraria le lavoratrici e i lavoratori interessati devono presentare domanda all’azienda, con un preavviso non inferiore a 5 giorni lavorativi, in forma scritta e unitamente alla documentazione inoltrata all’INPS indicando: la durata del periodo richiesto, il numero di giornate equivalenti alle ore richieste, le giornate richieste, la collocazione nella giornata.

La malattia durante il congedo parentale interrompe il periodo stesso e fa maturare il trattamento economico relativo alle assenze per malattia.

Diritto di chiedere, per una sola volta, la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale, purchè con una riduzione d’orario non superiore al 50 per cento (Il Dlgs 25 giugno 2015, n.81.

L’indennità, pari al 30% dello stipendio o della retribuzione “convenzionale”, spetta per un periodo massimo complessivo tra i genitori, di sei mesi, entro il sesto anno di età del bambino.

Per i periodi ulteriori rispetto al limite di 6 mesi, o fruiti tra i 6 e gli 8 anni di vita del bambino, l’indennità spetta a condizione che il reddito individuale del genitore richiedente sia inferiore a due volte e mezzo l’importo del trattamento minimo pensionistico a carico dell’assicurazione generale obbligatoria. I periodi fruiti tra gli 8 e 12 anni di vita del bambino non sono in alcun caso indennizzati. Nel periodo di fruizione del congedo parentale è prevista la riduzione proporzionale delle ferie e della tredicesima mensilità, i periodi sono però computati nell’anzianità di servizio e sono coperti da contribuzione figurativa per il diritto alla pensione.

La lavoratrice madre, durante il 1° anno di vita del bambino, ha diritto a 2 permessi di riposo di 1 ora ciascuno, anche cumulabili, durante la giornata. Il riposo è ridotto ad un’ora solo se l’orario giornaliero di lavoro è inferiore a 6 ore.

Il beneficio spetta al padre lavoratore solo nei seguenti casi:

- in caso di morte o di grave infermità della madre.

- se la madre lavoratrice non se ne avvale.

- in caso i figli siano stati affidati solo al padre.

- se la madre è casalinga e comprovata situazione di non poter accudire il bambino (Circolare INPS n 118 del 25/11/2009). Tale diritto non è riconosciuto al padre quando la madre lavoratrice si trova in astensione obbligatoria o facoltativa. In caso di parto plurimo, le ore di permesso vengono raddoppiate, indipendentemente dal numero dei gemelli. Se il datore di lavoro mette a disposizione in azienda una camera d’allattamento o un asilo nido, i permessi di lavoro giornalieri si dimezzano, quindi in caso di orario di lavoro pari o superiore alle 6 ore il permesso è di un 1 ora che si riduce a 1/2 ora in caso di orario inferiore. Le ore di riposo e di permesso sono considerate lavorative a tutti gli effetti e sono regolarmente retribuite dal datore di lavoro in via anticipata per conto dell’INPS.

I genitori possono, a turno, astenersi dal lavoro durante le malattie del bambino di età inferiore a otto anni e per tutta la durata della malattia, fino ad un età non superiore ai tre anni.

- 5 giorni l’anno per ciascun genitore se il bambino è di età compresa fra tre e otto anni. Per fruire di questa agevolazione è necessario il certificato rilasciato dal medico specialista del SSN (o convenzionato), oltre ad un’autocertificazione in cui si dichiari che l’altro genitore non si è assentato dal lavoro negli stessi giorni per il medesimo motivo. Durante i congedi per malattia del bambino non si applicano le disposizioni sul controllo della malattia. Quando la malattia del bambino dà luogo ad un ricovero ospedaliero, il genitore può chiedere di interrompere il decorso del periodo di ferie e fruire del congedo. In caso di malattia del bambino certificata si può interrompere il congedo parentale. Per i periodi di congedo per la malattia del figlio è dovuta la contribuzione figurativa fino al compimento del terzo anno di vita del bambino; dal terzo all’ottavo anno spetta una contribuzione figurativa ridotta.

Ai fini del sostegno economico durante il periodo di utilizzo del congedo parentale l’art. 5 del Testo Unico prevede che le madri lavoratrici e i padri lavoratori a tempo indeterminato, anche adottivi o affidatari, possano chiedere l’anticipazione del TFR

I genitori di figli minori portatori di handicap in situazioni di gravità accertata (Legge 104/1992 art. 4, comma 1), oltre a quanto già previsto per i genitori naturali, adottivi e affidatari in tema di congedi e permessi, possono fruire in alternativa di particolari agevolazioni:

- prolungamento del congedo parentale ordinario con una indennità pari al 30% della retribuzione fino ad un massimo complessivo di tre anni entro il compimento del dodicesimo anno di vita del bambino, a condizione che non sia ricoverato a tempo pieno in istituto specializzato, salvo che, in tal caso, sia richiesta dai sanitari la presenza del genitore.

- possibilità di fruire di 2 ore di permesso giornaliero retribuito, ridotto a 1 ora in caso di orario giornaliero inferiore alle 6 ore fino al compimento del tre anni.

- 3 giorni di permesso retribuito mensile, fruibili anche in maniera continuativa, purchè sussista la condizione di assistenza continuativa.

I riposi, i permessi e i congedi spettano al genitore lavoratore anche quando l’altro genitore non ne ha diritto (es. casalinga, disoccupato, lavoratore a domicilio ecc.). Il prolungamento sino a tre anni decorre dal termine del periodo corrispondente alla durata massima del congedo parentale spettante al richiedente. Per l’assistenza allo stesso figlio con handicap in situazione di gravità, i diritti sono riconosciuti ad entrambi i genitori, anche adottivi, che possono fruirne alternativamente, tuttavia negli stessi giorni l’altro genitore non può fruire dei benefici di cui all’art. 33 l.104.

Spetta, inoltre, uno specifico periodo di congedo di 2 anni, anche frazionabile, per ciascuna persona portatrice di handicap e nell’arco della vita lavorativa, in alternativa alla madre o al padre o, dopo la loro scomparsa, a uno dei fratelli o sorelle purchè conviventi o in ultima istanza in caso di assenza/scomparsa di genitori, fratelli o sorelle a familiari o affini entro il 3° grado di parentela. Durante tale periodo il richiedente ha diritto a percepire un’indennità corrispondente all’ultima retribuzione, con riferimento alle voci fisse e continuative del trattamento, e il periodo medesimo è coperto da contribuzione figurativa. Tale permesso deve essere concesso entro 60 giorni dalla richiesta. Fermo restando il diritto all’assegnazione, ove possibile, alla sede di lavoro più vicina al proprio domicilio.

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