Infermieri in fuga

Infermieri in fuga

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Nel 2021, il presidente De Palma
dichiarò pubblicamente che secondo un'indagine condotta dal Nursing Up, si stanno verificando numerosi casi di dimissioni da parte di infermieri e altri operatori sanitari in tutti gli ospedali italiani, in particolare nei Pronto Soccorso.

La fuga di personale riguardava non solo gli ospedali pubblici, ma anche quelli privati e le RSA presenti in tutto il paese.

Il 74% del personale dimesso era un infermiere.

A oggi è cambiato qualcosa?

No, la situazione sanitaria si è aggravata, anche nelle regioni come l’Emilia Romagna, una volta considerate modelli di eccellenza. Ma queste erano solo apparenze, la realtà è che le regioni italiane competono a chi fa meno peggio.

Secondo uno studio di RN4CAST, in Italia il 36% degli infermieri dichiara di voler lasciare l’Italia subito.

Negli ultimi anni, oltre 7.000 giovani infermieri italiani hanno lasciato l’Italia per lavorare all’estero, dove hanno trovato condizioni di lavoro dignitose, stipendi adeguati sia al costo della vita, che a rischi e responsabilità.

Le destinazioni più ambite: Germania, Spagna, Belgio e Svizzera.

Tra il 2010 e il 2020, in Italia, sono stati chiusi 111 ospedali, 113 Pronto soccorsi e tagliati 37mila posti letto. Non è un caso se i dati europei ci dicono che in Italia i tassi di mortalità evitabile sono un terzo delle morti (110.000 su 330000) e i tassi di sopravvivenza ai tumori sono ancora bassi. 

Tuttavia, la spesa sanitaria a carico delle famiglie è aumentata, portando soprattutto i meno abbienti ad avere bisogni sanitari insoddisfatti .

Le cause di questa fuga?

- Stipendi sotto la media OCSE, fermi al 1990, quando un infermiere guadagnava circa 2 milioni di lire (la media nazionale era di un milione e duecentomila lire) e il tempo dedicato al lavoro era molto inferiore.

Il problema non è solo economico, ci rubano la vita: salti di riposo, ferie bloccate, permessi negati, ricatti psicologici, nullaosta non autorizzati, mobilità interne sempre più difficili da ottenere, libera professione non consentita (nonostante una legge nazionale autorizzi a farla). 

Accettano il licenziamento di un collega, PUR DI NON CONCEDERE UN CAMBIO COMPENSATIVO.

Insomma i professionisti sanitari, in particolare in Emilia Romagna, si vedono rifiutare sistematicamente ogni richiesta, come se la dirigenza godesse nel dare loro un rifiuto. La situazione è insostenibile, malumori, stress, burnout.

Sembra che i sindacati al potere abbiano paura di dire certe cose.

Con l’avvento delle aziende nel 1992, la situazione lavorativa è precipitata pericolosamente, si è guardato più ai conti che al benessere dei professionisti. 

Si sono quintuplicati i dirigenti al comando e sono diminuiti sempre di più i professionisti nei reparti, sul territorio.
I livelli assistenziali, le prestazioni e i servizi erogati dalle strutture sono in costante pericolo di non essere più assicurati. Si viaggia sul filo del rasoio da troppi anni.

Il personale non solo è esausto, ma anche arrabbiato, con una classe dirigente sempre più arrogante che sa solamente dire di no.

Una classe dirigente pagata bene, molto più di chi porta avanti la baracca.

La sanità in Italia si sta deteriorando rapidamente, una volta fiore all’occhiello del paese, sta diventando il fanalino di coda di tutta l’Europa. Una soluzione potrebbe essere quella di centralizzare la sanità, in modo da risparmiare miliardi di euro in stipendi da dirigenti (che non possiamo permetterci) e ridurre tempi e costi di una burocrazia logorante.

Una singola amministrazione proprio come avviene per polizia, carabinieri, pompieri, ci sarebbero meno sprechi e più efficienza.

Il Nursing Up in Emilia Romagna ha denunciato più volte, ha informato la classe politica che però sembra indifferente a questo tipo di problema.

Gli infermieri con tutti i professionisti delle professioni sanitarie, sono le categorie meno considerate in Italia, lo dicono i fatti.

Un infermiere, un ostetrico, etc, con famiglia monoreddito deve per forza indebitarsi, per arrivare a fine mese. Mentre il papà infermiere monoreddito nei paesi del Nord Europa si permette fino a due viaggi di piacere l’anno.

Unica soluzione alla carenza di personale è:

- Ripristinare gli stipendi alla media OCSE, 500 euro di aumento subito, anche con la detassazione

- Aiutare i nostri studenti

- Nuovi concorsi

- Portare a termine le graduatorie

- Stabilizzare

- Favorire i cambi compensativi e le mobilità

- Creare un ambiente sereno e idoneo così da evitare stress e malumori

A qualche collega in Emilia Romagna, dopo una legittima richiesta, gli è stato risposto che esistono le dimissioni se non gli va bene il brodo.

Siamo gestiti da una classe dirigenziale poca attenta ai problemi dei colleghi, si guarda al risparmio e non al benessere lavorativo e alla qualità.

Una situazione che è vicina al collasso.

Abbiamo chiesto l'intervento delle forze politiche in quanto il problema non è della singola azienda, ma Regionale.

Il 26 aprile 2023 la Commissione Europea ha presentato al Consiglio la proposta di raccomandazione sul potenziamento delle azioni dell'UE per combattere la resistenza antimicrobica con un approccio "One Health". Come possono pensare di combattere la resistenza agli antibiotici, senza infermieri?

Si stima che oltre 35 000 persone muoiano ogni anno nell'UE/SEE come conseguenza diretta di un'infezione dovuta a batteri resistenti agli antibiotici.

Secondo le stime, circa il 70% dei casi di infezioni da batteri resistenti agli antibiotici era costituito da infezioni correlate all'assistenza sanitaria. Meno infermieri, più infezioni, con una spesa pubblica di milioni di euro.

In Italia, non a caso, siamo maglia nera anche in questo, le infezioni operate da Escherichia coli e Klebsiella stanno aumentando, diffondendosi negli ospedali e negli istituti di ricovero e con una resistenza a quasi tutti gli antibiotici disponibili. Per quanto riguarda Klebsiella, la percentuale di resistenza in Italia è del 34%, una delle percentuali più alte in Europa insieme a Grecia e Romania.

Portare il numero di infermieri/pazienti a 1 a 5 sul tutto il territorio nazionale italiano, (escludendo l’area critica dove il rapporto si riduce ancora a 1/4, 1/2, o 1/1) abbatterebbe infezioni, morti e costi per milioni di euro anno su antibiotici, medicazioni.

Studio Lancet 2014: Ogni volta che aumenti 1 paziente a un infermiere, aumenta del 7% la mortalità del paziente, aumenta del 7% che l’infermiere non si renda conto delle complicanze a cui il paziente sta andando incontro.

Secondo un altro studio realizzato in Gran Bretagna, non fa che confermare altri studi, quando la gestione infermieristica passa da 10 a 6 pazienti la mortalità si riduce al 20%.

Secondo uno studio in California, effettuato su medicine e chirurgie, il rapporto ottimale infermiere/paziente sarebbe 1 a 6, anche se lo stato della California impone per legge che il rapporto sia di 1 a 5, ciò ha fatto risparmiare soldi, infezioni e morti.

In alcuni Paesi, come l'Australia è stato già stabilito che il numero 'ideale' per combattere le infezioni e le morti ospedaliere è un infermiere ogni 4 assistiti.

È quindi fondamentale che la politica, le aziende si impegnino a garantire un adeguato numero di personale per evitare la fuga di professionisti e assicurare un ambiente di lavoro sicuro ed equilibrato, proteggendo così anche la salute mentale dei colleghi.

Il Nursing Up Emilia Romagna è sul piede di guerra, stiamo cercando di sensibilizzare ogni singolo collega, sui social, sui media, ma anche con il passaparola. Se vuoi aiutarci, se vuoi diventare dirigente sindacale, anche solo fare una prova in Emilia Romagna, anche solo per affiggere i nostri volantini, contatta: lapaginadinursingup@yahoo.com non cerchiamo esperienza, ma solo giovani con idee e buona volontà.

Inviaci le tue osservazioni, le tue proposte a lapaginadinursingup@yahoo.com, insieme, facciamo sindacato.
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