IL MOMENTO DI APRIRE GLI OCCHI. LETTERA DI UNA COLLEGA.

IL MOMENTO DI APRIRE GLI OCCHI. LETTERA DI UNA COLLEGA.

Pubblichiamo una bellissima testimonianza che ci ha inviato una collega, di quante difficoltà noi infermieri siamo costretti a sopportare in silenzio, per anni. La pubblichiamo così, integralmente senza modificare nulla.

Buongiorno.

Vorrei esporre un caso, il mio, perchè sicuramente molti altri infermieri come me potranno riconoscersi nella medesima situazione.
Ho scelto la professione infermieristica per passione. Già da piccola, a 12 anni, costringevo le mie amiche del quartiere ad entrare nell'ospedale della zona per ammirare i camici bianchi che si incontravano lungo il corridoio centrale. Le mie amiche rimanevano turbate mentre io mi sentivo sempre più ispirata. Dal 98' ho iniziato a prestare servizio in corsia, facendo turni e reperibilità a tempo pieno.
Finalmente avevo raggiunto il mio tanto atteso obiettivo e mi piaceva apprendere nuove capacità tecniche e conoscenze, via via sempre più specifiche. La mia più lunga esperienza lavorativa è stata in area sub intensiva di onco-ematologia, dove venivano fatti i trapianti allogenici di midollo.
La mia più grande ricompensa era il rapporto terapeutico di fiducia che si instaurava con le persone ricoverate, grazie ad una serie coordinata di interventi efficaci messi in pratica da me e dall'intera equipe, medico-infermieristica e oss.
Per migliorare il mio rendimento rispetto alla relazione di aiuto, ho frequentato per anni un corso serale di counseling che mi ha arricchita e approfondita come persona umana.
Con lo scorrere del tempo però, ho iniziato ad accusare sempre più spesso accessi di emicrania e cefalea che violavano crudelmente la mia qualità di vita.
Per tanto mi sono affidata ad un centro emicranie, per poi cambiarlo con un altro quando vedevo fallire le terapie. Sono passata dall'assumere semplici integratori alimentari a dover far uso quotidianamente di beta bloccanti per ridurre il numero di accessi mensili.
Ammetto di non accogliere di buon grado l'idea di dover ricorrere a farmaci là dove, sono sicura, una qualità di vita differente sarebbe già sufficiente. In oltre, ogni farmaco che provavo, comportava l'instaurarsi di fastidi di altro tipo come parestesie, rallentamento motorio e senza grandi benefici in merito alla sintomatologia emicranica.
Da 3 anni lavoro con turno diurno centrale ma la situazione non è molto migliorata. Nell'ultimo anno dunque, ho tentato di ricorrere per 2 volte al part-time, partecipando al bando messo a disposizione dall'Azienda Ospedaliera presso cui lavoro.
Ogni volta, la risposta tanto attesa è stata una delusione: NO. Mi chiedo perchè oggi venga negato il diritto di accedere al part-time nel settore sanitario, dove altri colleghi come me, avendo raggiunto una certa maturità di servizio, avrebbero NECESSITA' di tempi più lunghi per il recupero psico-fisico post lavorativo. Ciò comporta inesorabilmente delle ripercussioni sullo stato di salute.
Molti neolaureati infermieri vorrebbero avere l'opportunità di prestare servizio nelle varie unità ospedaliere per fare esperienza e mettersi in gioco.
Una nuova generazione di professionisti vorrebbe percepire finalmente uno stipendio sicuro a fine mese tale da potergli garantire una certa autonomia economica.
Allo stesso tempo, questo passaggio consentirebbe di coprire eventuali buchi creati dai part-time. Avere la possibilità di ridurre le ore lavorative settimanali, favorirebbe un miglior rendimento sul posto di lavoro e indirettamente sulla qualità delle prestazioni erogate.
Il paradosso é che: chi lavora é messo con le spalle al muro esattamente come lo sono tutti quelli che vorrebbero lavorare. Occorre sbloccare questo sistema. Basta far tagli sulla sanità a spese degli operatori e indirettamente dell'utenza che accede nei vari servizi del SSN. E' eticamente scorretto mettere il lavoratore nelle condizioni di sentirsi costantemente affaticato per poi ricadere inevitabilmente in condizioni di estremo malessere.
La sicurezza del lavoratore non può avvalersi di periodi frammentari di mutua per recuperare un transitorio, nonché insoddisfacente, stato di salute costituendo tra l'altro il mal funzionamento di un servizio a causa di assenze impreviste di personale.
La prima legge che tutela la salute e la sicurezza dei lavoratori é proprio la Costituzione. Questa prevede che "la Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni". La L.81 del 2008 inoltre, parla dello stress come uno stato che si accompagna a malessere e disfunzioni fisiche, psicologiche o sociali e che deriva dal fatto che le persone non si sentono più in grado di superare i gap rispetto alle richieste o alle attese nei loro confronti.
Lo stress correlato al lavoro é indubbiamente da annoverare tra le cause, se non la principale, di malessere psico-fisico in grado di compromettere la qualità della vita. Ciò é suffragato dalla scienza PNEI che descrive le interazioni del complesso sistema psico-neuro-endocrino-immunologico per cui uno stato di malessere psico-fisico da stress, può avere delle ricadute funzionali a livello dell'intero organismo composto da sistemi interconnessi.
Insomma, cari miei colleghi che come me lavorate da più di 20 anni, forse é proprio arrivato il momento di aprire gli occhi e difendere i nostri diritti.
Per il momento ringrazio molto chi ha reso possibile la pubblicazione di questa testimonianza.



SabriS.