Accusati operatori sanitari, ma i DPI non erano idonei.

Accusati operatori sanitari, ma i DPI non erano idonei.

Spett.le Direzione Generale

Di tutte le strutture sanitarie del Lazio

Guardia di Finanza Lazio

NAS Lazio

INAIL Lazio

Regione Lazio


Oggetto: segnalazione mascherine “non medical usage” – No medical device” – diversi da (PPE) Personal Protective Equipment – Regione Lazio 

In questi giorni nel Lazio, come accaduto già in tutta Italia, hanno ritirato dei Dispositivi di Protezione Individuale (DPI), le mascherine, fino a quel momento utilizzati da tutto il personale sanitario.

Già in passato erano stati rifiutati, dal personale DPI, ridicoli, ribattezzati “mascherine swiffer” per la somiglianza che avevano con un panno da spolvero.

Il ritiro dei finti DPI segue una serie di denunce giornalistiche, un segreto di pulcinella che però potrebbe essere costato la salute e la vita di molti operatori (ma anche pazienti infettati inconsapevolmente) che hanno lavorato convinti essere protetti e di proteggere i loro pazienti. Oggi abbiamo la conferma che così non era.

Purtroppo, l’aver utilizzato DPI efficienti, insieme alla constatazione di un’efficientissima macchina interna della prevenzione che ha applicato tutte le disposizioni previste dall’Ordinanza del Presidente della Regione Lazio del 17 aprile 2020, n. Z00031, avrà influenzato la Valutazione del Rischio (DVR) abbassando il livello del rischio rispetto a quello reale.

Non a caso, le direzioni ASL e centri privati convenzionati, hanno sempre sostenuto che gli operatori sanitari si sono infettati a casa propria, e non al lavoro, perché al lavoro sono rispettate tutte le condizioni di sicurezza; quando il focolaio si fosse manifestato, inconfutabilmente, a lavoro, si sentono allusioni a disattenzioni o mancato uso di DPI.

Un’affermazione facile da smentire facendosi un “giretto” nei nostri presidi e ambulatori, ma anche nei centri COVID, visionando i Protection Personal Equipment (PPE) a disposizione del personale. Non posso non chiedere se e come sono cambiate le condizioni igieniche nelle strutture sanitarie del Lazio.

Tutti giureranno che hanno curato, come non mai, le igienizzazioni, ma come?

Intensificando le ore della ditta che gestisce le pulizie?

I percorsi, tra sporco e pulito, sono stati identificati e osservati scrupolosamente?

Gli spogliatoi, notoriamente affollatissimi e molto frequentati, con armadietti insufficienti e promiscui, possono essere stati causa di focolai infettivi.

Negli spogliatoi dei sanitari ci dovrebbero essere anche dei bagni, spesso numericamente insufficienti, privi delle più banali risorse, come carta igienica, sapone per le mani e carta asciugamani.

 

Non ci vuole molto per capire che un professionista sanitario, il virus l’abbia portato a casa propria, piuttosto che il contrario.

Durante tutto il periodo COVID, sono giunte a questa OS, da parte dei nostri iscritti e rappresentanti, numerose segnalazioni di:  gravi carenze e/o inadeguatezze e inidoneità dei DPI utilizzati nelle strutture, parte dei quali si allega immagini;  una diffusa inadeguata applicazione delle disposizioni dell’Ordinanza del Presidente della Regione Lazio del 17 aprile 2020, n. Z00031;

 ritardi nell’applicazione delle disposizioni del “Piano di intervento Regionale sull’igiene delle mani” emanato dal GRRC Lazio in data 19 Febbraio 2021;

 inadeguatezze nella sanificazione delle principali superfici di contatto, dei locali e degli oggetti e apparecchiature esposte a soggetti malati e rischio di contaminazione da COVID 19;

 inadeguatezza degli spogliatoi presenti per spazi, areazione e numerosità degli operatori che li utilizzano;  inadeguatezza del numero o della tipologia e cattivo stato degli armadietti negli spogliatori con mancata/inadeguata separazione tra sporco e pulito e rischio di contaminazione degli abiti civili.

Grave carenza di spogliatori rispetto al numero dei dipendenti e zone filtro adeguate.

 Scarsa o inadeguata definizione dei percorsi di interni agli ospedali e scarsi controlli sul personale e sui pazienti/accompagnatori con possibilità di accessi incontrollati;

 Scarsa o assente separazione dei percorsi dei pazienti COVID positivi/sospetti positivi da quelli NO COVID con sovraesposizione al rischio biologico per inefficacia delle mascherine chirurgiche utilizzate dai pazienti e, di conseguenza, aumento del rischio per gli operatori;

 difficoltà nel far rispettare le direttive di distanziamento o entrata, all’utenza, in tutti i contesti, COVID e non COVID. Elevato numero di contagi di pazienti ricoverati, attribuito a operatori non vaccinati che sostiene l’ipotesi di scarsa efficacia delle misure aziendali anti COVID adottate. Quanto sopra esposto è stato anche oggetto di numerose comunicazioni sindacali alle ASL interessate, non sono mancate interrogazioni regionali, da parte di politici e prese di posizione degli Ordini professionali, di inchieste ed articoli giornalistici.

Poiché tutto quanto esposto è strettamente correlato alla salute e sicurezza dei lavoratori e alla salute pubblica, in quanto costituisce elemento di base del processo di valutazione del rischio biologico (aggiornato alle infezioni da COVID 19) da cui derivano le azioni preventive e protettive rivolte ai lavoratori e ai pazienti; visto l’elevato numero di operatori ammalati di COVID e l’elevato numero di pazienti contagiati, presumibilmente durante la loro degenza in area NO COVID, si chiede di accertare:

1. se i DPI utilizzati sono conformi e idonei a proteggere i lavoratori e i pazienti, relativamente al contesto in cui ricevono le cure. In particolare, si chiede di verificare se i pazienti in attesa di tampone in area COVID sono adeguatamente protetti dal contagio attraverso adeguate maschere filtranti. Distinte da marchio CE con codice e verificabili.

2. Lo stato e l’adeguatezza delle divise e dei calzari utilizzati dal personale.

3. il grado di applicazione delle disposizioni “Piano di intervento Regionale sull’igiene delle mani” emanato dal GRRC Lazio in data 19 Febbraio 2021.

4. Se la sanificazione delle principali superfici di contatto (maniglie delle porte, rubinetterie e pulsantiere) degli ambienti, delle apparecchiature e arredi è tracciabile ed avviene secondo modalità certe e sostenute da evidenze scientifiche.

5. La verifica visiva dello stato igienico e i rilievi biologici, in particolare, delle principali superfici di contatto di cui al punto precedente.

6. L’idoneità degli spogliatoi e delle zone filtro in relazione al numero degli operatori che li utilizzano. Ne abbiamo trovati e segnalati, puntualmente, spogliatoi privi dei più elementari dispositivi d’igiene, come il sapone, la carta igienica, ma anche carta asciuga mani.

7. L’idoneità degli armadietti rispetto al numero totale dei dipendenti presenti in struttura.

8. La presenza di percorsi per operatori, pazienti/accompagnatori, separati in ingresso e uscita ed adeguatamente segnalati con segnaletica orizzontale e verticale.

9. L’effettuazione dei controlli in vigilanza del SISP nelle strutture pubbliche e in quelle private.

10. La conformità del DVR rispetto alla situazione rilevata in seguito ai controlli richiesti e la coerenza delle misure di prevenzione e protezione adottate dalle strutture;

11. L’adeguatezza del protocollo di sorveglianza sanitaria e l’efficacia delle misure previste per i lavoratori fragili rispetto alla situazione reale.

12. Se la mancata attivazione della vaccinazione obbligatoria anticovid ai sensi del DLgs 81/08 è coerente con il livello di rischio rilevato nel DVR e con la situazione reale.

Si fa presente, inoltre, che successivamente il sequestro delle note mascherine “farlocche”, da parte della Guardia di Finanza, a seguito del procedimento penale n. 1515/2020 R.G.N.R. mod. 44, Notifica decreto sequestro ex artt. 253 e segg. c.p.p.; si enfatizza che le mascherine distribuite, a sostituzione, sono denominate, quando denominate, nella migliore delle ipotesi: “non medical usage” – No medical device”.

Molti colleghi, perplessi per la suddetta definizione, tipo No medical device, si sono sentiti dire che sarebbe una definizione atta ad indicare “dispositivi di protezione individuale”, benché sia noto che la traduzione dei dispositivi, in inglese, corrisponda a: “(PPE) Personal Protective Equipment”.

Personalmente sto cercando enti certificatori, dal momento che siamo disponibili a far analizzare i suddetti dispositivi, anche pagando, a distanza di un anno, dall’inizio della pandemia, tutto ciò non è più tollerabile.  

I professionisti sanitari, come gli infermieri, debbono essere tutelati.  

Cordialmente  

Roma, 16.04.2021                                             Resp.Reg. Lazio Nursing Up

                                                                                       Laura Rita Santoro