Aggressioni in corsia: quando la violenza è ignorata e la giustizia tace
Gli infermieri, colonne portanti del sistema sanitario, affrontano ogni giorno situazioni complesse e talvolta pericolose. Ma oltre alla pressione lavorativa, molti di loro si trovano a dover fronteggiare una realtà ancora più amara: le aggressioni fisiche e verbali. Storie di insulti, pugni, spintoni sono all'ordine del giorno, e la giustizia sembra spesso voltare loro le spalle.
In questo articolo raccontiamo una storia vera, una delle tante che dimostrano quanto sia difficile essere un infermiere oggi in Italia.
Un giorno ordinario, all'apparenza senza tensioni. Un paziente, per il quale non si prevedeva alcuna escalation di rabbia, viene chiamato per un prelievo ematico. L'infermiere gli chiede di seguirlo in ambulatorio, e tutto sembra procedere regolarmente. Il paziente si alza, non mostrando segni di disagio. Ma appena si arriva alla porta dell’ambulatorio, scatta la miccia. Senza alcun preavviso, la situazione precipita: il paziente esplode in un attacco di violenza, aggredendo l'infermiere.
Interviene la guardia giurata, ma i danni sono ormai fatti. La procedura segue il solito copione: referto medico, giorni di riposo forzato, e infine la querela.
L'infermiere, ferito non solo nel corpo ma anche nell’anima, decide di intraprendere la via legale. L’aggressione non può e non deve rimanere impunita. Ma qui arriva la seconda, dolorosa sorpresa: il giorno dell’udienza con il giudice di pace.
Davanti al giudice, il difensore d’ufficio dell’aggressore afferma con disarmante leggerezza: “Il mio cliente non ha un euro. Se il querelante cerca soldi, ha sbagliato persona”. Un’affermazione che lascia l'infermiere, vittima dell’aggressione, incredulo. Non è una questione di soldi, come ribadisce al giudice. Non vuole compensi economici. Quello che cerca è semplice: poter lavorare in pace, senza il timore di essere aggredito da persone violente.
Il giudice, invece di cogliere la gravità della situazione, si limita a chiedere all’infermiere perché non fosse accompagnato da un avvocato. Una domanda che suona come un'ulteriore beffa, come se la giustizia stessa fosse disinteressata a garantire sicurezza e rispetto a chi ogni giorno si trova a lavorare in prima linea per salvare vite.
Deluso e umiliato, l'infermiere lascia l’aula con un amaro senso di sconforto. Non solo ha dovuto subire un’aggressione fisica, ma si è trovato a essere schernito anche da un sistema giudiziario che sembra non tutelare chi dovrebbe essere protetto. La domanda che si pone è semplice: dove stiamo andando? In quale direzione ci muoviamo come società se coloro che si dedicano con sacrificio e passione alla cura degli altri non vengono tutelati nemmeno dalle istituzioni?
Morale della storia: essere infermieri oggi significa non solo affrontare lo stress di un lavoro già di per sé difficoltoso, ma anche convivere con l'insicurezza e la frustrazione di sapere che, in caso di aggressione, potrebbero rimanere soli. La giustizia, che dovrebbe essere dalla loro parte, sembra spesso distante, disinteressata, e, in casi come questo, addirittura beffarda.
La vera domanda che ci dovremmo porre è: cosa stiamo facendo per proteggere chi ogni giorno si prende cura di noi? Se la risposta è nulla, allora la situazione è più grave di quanto immaginiamo.
Infermiere, Dott. N. C.