Infermiera, figlia di una paziente. Bellissima lettera di una collega.

Infermiera, figlia di una paziente. Bellissima lettera di una collega.

Abbiamo ricevuto una lettera molto bella di una collega che vuole trasmetterci la sua esperienza. Ve la postiamo così come l'abbiamo ricevuta, senza correzioni o abbellimenti (già bella di per se).

Vorrei parlarvi del Pronto Soccorso di Rimini, non come operatore, visto che sono un'infermiera che lavora in questa azienda; ma come figlia di una paziente.

Premetto che nel portarvi mia mamma non ero sicura di fare la cosa giusta. Primo motivo, lei ha un linfoma non Hodgkin e i medici mi hanno sempre detto di evitare ambienti come il pronto soccorso. Secondo motivo, pur decidendo di portarla, ho sentito una sorta di senso di colpa nell'approfittarmi di questo servizio, forse avrei potuto da sola aiutare mia mamma o chiamare la guardia medica.

Mia mamma nella mattinata di ieri si è sentita male tanto da rimanere seduta sulla sedia in cucina sbiascicando parole senza senso per poi cadere dal letto nel pomeriggio. Io sono un'infermiera di Terapia Intensiva Neonatale, chiedetemi tutto sui neonati, ma non ponetemi domande sugli adulti, mi sento ignorante in questo campo per cui il mio cervello inizia ad elaborare le peggiori cose.

In mia mamma ho visto i segni di un TIA (attacco ischemico transitorio), per cui insieme a mia sorella e con l'appoggio telefonico di mio fratello abbiamo deciso di portarla in PS. Qui ho trovato un ambiente pieno di gente in attesa e di persone stese in barella, codici bianchi, gialli, verdi ecc che già a codificarli per me sarebbe impossibile. E già, perché anche solo codificare un codice richiede preparazione.

La mia sensazione non è stata quella di andarmene vista la moltitudine di persone, ma di guardare i miei colleghi ed entrare in una sorta di empatia che aumentava nel momento in cui un gruppo di persone ha iniziato a sbraitare per il nulla (mancano gli infermieri, perché non vi muovete, ma come siete messi, io chiamo i carabinieri ecc...). Io ho osservato i ragazzi al triage e ho avuto un senso di pace, hanno capito le lamentele, con calma e con il sorriso hanno spiegato a tutti quali fossero le priorità...
Puntualizzo il fatto che si sono soffermati a spiegare la motivazione delle attese lunghe non togliendo mai gli occhi dai pazienti e da chi aveva più bisogno. Ho capito che di loro potevo fidarmi e che non mi avrebbero neanche giudicata, erano pronti ad ascoltare tutti mentre parte dell'utenza era pronta invece a portarli a giudizio davanti alle forze dell'ordine. Questo per dire che il giudizio spesso logora l'anima di chi lo porta dentro di sé. Dobbiamo capire come società che il Pronto Soccorso è un luogo:
- di attesa, legato ad un sistema sanitario caratterizzato da carenza di personale e in cui per forza maggiore chi sta veramente male ha il diritto di passare avanti;
- di sofferenza a gradi in cui ogni utente guarda, se stesso, senza a volte capire che il vicino di barella sta più male di te, ma è silenzioso perchè non ha la forza per parlare.

Io non posso fare altro che ringraziare tutti gli operatori incontrati tra il pomeriggio e la sera di ieri, infermieri, medici, oss, tecnici di radiologia barellieri ecc... La vostra professionalità, competenza, energia, gentilezza mista a sorrisi mi ha fatto capire che il sistema sanitario portato avanti da queste persone non ha niente di cui scusarsi.

Forse quelli che si devono scusare sono coloro che portano tagli alla Sanità. Finisco con il dire che mia mamma sta meglio, è a casa ed ora dorme serena e per farvi ridere un po' mentre attendevamo che entrasse a fare la visita mi ha detto: 'come posso aiutare questi ragazzi che non fanno altro che correre?' 'stando tranquilla mamma, è questo quello di cui loro hanno bisogno!'

Cari colleghi grazie per la professionalità, l'empatia e la pazienza.

Se volete inviarci una vostra esperienza, racconto, desiderio, progetto, qualsiasi cosa fatelo a lapaginadinursingup@yahoo.com 

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