Sindacalesimo o sindacalismo

Sindacalesimo o sindacalismo

La nostra eredità proviene da un passato non troppo lontano, che ha visto progressivamente e non senza vittime e feriti lasciati sul campo (neppure in senso troppo figurato), il crescere e il rafforzarsi di organizzazioni nate con le più nobili finalità. Tutele, conquiste di diritti, salvaguardia di interessi comuni, figlie dell’industrializzazione moderna. Non bisogna mai pensare, adagiandosi su quanto si sia ottenuto sino ad oggi, che quello che possediamo sia “per sempre” o destinato all’intoccabilità. Ogni conquista va presidiata e difesa, con grinta e rigore, semplicemente perché qualcuno può decidere di eliminarla o alterarla a proprio piacimento. Tutto il modo di pensare il lavoro è andato, neppure troppo lentamente, modificandosi nel tempo e soprattutto in questi ultimi anni, che hanno visto tutto l’occidente in crisi, più o meno vera, c’è stato uno scossone profondo, che è giunto a giustificare compensi salariali risibili. Tutto ciò che a noi viene passato come “improvviso” ed “inatteso” all’interno di un’economia fortemente strutturata come quella capitalistica con profonda impronta liberista, ovviamente non lo è, o quanto meno lo è solo per noi piccoli pedoni sulla grande scacchiera, dove il gioco è gestito da pezzi ben più nobili e potenti. Rimanendo proprio sulla superficie delle tante teorie di economia politica di stampo capitalista, emerge chiaramente che tutto può crescere sino ad un certo punto oltre il quale non è più possibile farlo, che i soldi non si auto-generano per semplice accoppiamento e che, per poter continuare a guadagnare è necessario l’innesco di una crisi che provochi un azzeramento dell’economia (o comunque un tracollo significativo) definendo anticipatamente quale sia la “parte sacrificabile” del contesto sociale, perché qualcuno deve essere sacrificato per far sì che tutto il gigantesco meccanismo possa continuare a funzionare. Come avviene in una partita a scacchi i primi pezzi che in qualche modo devono essere sacrificati sono i pedoni, quindi seguendo la metafora che ho scelto, facciamo presto a capire chi siano questi pedoni. I forti sindacati di un tempo si sono trasformati in feudi, ci sono i Signori che li guidano, cercano di non creare troppi attriti fra di loro, ma neppure di crearli nei confronti del potere dal quale dovrebbero tutelare i propri affiliati. Più o meno come si gestirebbe un’impresa, lo scopo essenziale (oggi si preferisce il termine mission), rimane il mantenimento del sistema in essere o il suo accrescimento quando possibile, le tutele vengono dopo, molto dopo. Ciò che giustifica quindi l’alternativa all’appartenenza ad un sistema di assorbimento ed appiattimento è quello di rivolgersi altrove per la tutela dei propri diritti. Ma dove? Non è più giustificabile l’adesione ad una appartenenza politica che giustifichi l’obbligatorietà di aderire ad una rappresentanza sindacale che in concreto, quando dalle chiacchiere si deve passare ai fatti, ci riempie le mani con un pugno di mosche. Però se dalla fagocitazione si desidera distinguersi in qualche modo, per segnalare che i diritti di una professione fondamentale come la nostra nel servizio sanitario nazionale, non vengono ben tutelati o spesso dimenticati, si rischia ti passare per corporativisti. Non capisco perché questo termine venga utilizzato con un’accezione negativa, non si tratta di una chiusura a testuggine o banale presuntuosità, se più nessuno è in grado di tutelare gli interessi e le necessità di una professione, occorre rivolgersi verso chi, quanto meno, fa una dichiarazione di intenti in tal senso. Eppure ci sono tanti piccoli segnali, ma importanti, che qualcosa si è mosso grazie al “corporativismo”: la Corte di Cassazione si è espressa sul riconoscimento del tempo tuta, a Rimini finalmente è stato possibile ottenere il pagamento del festivo infrasettimanale come non era mai stato liquidato, sono state sempre denunciate tutte le carenze strutturali ed organizzative, nessun’altra voce si è levata così forte per protestare contro le violenze sul personale sanitario. Tutte queste cose non sarebbero accadute se non ci fosse stata la voce corporativista. Viviamo tempi nei quali da questa sorta di esasperazione sociale, si dovrà essere ri-condotti al buon senso, l’economia da unidirezionale/individualista, dovrà piegarsi, per il bene di tutti noi, ad una circolarità/condivisiva, per la rappresentanza e la tutela della propria professione sarà indispensabile il passaggio dal sindacalesimo al sindacalismo, per riuscire a far nostra non solo l’identità di una professione che non l’ha ancora capita, ma abbandonare soprattutto qualsiasi forma di omologazione a qualcosa che non ci è mai appartenuto.

Dario Porcaro
Dirigente Nursing Up Rimini



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