3 6 7 un numero fortunato ? Punto di vista di un infermiere.

3 6 7 un numero fortunato ? Punto di vista di un infermiere.

Punto di partenza essenziale di ogni personale osservazione che desideri far maturare a sua volta una riflessione sana e non strumentale è conservare sempre e comunque un principio assoluto di oggettività. 

Vi proporrò quindi il mio personale punto di vista in merito a quanto visto ed ascoltato all’interno dell’XI conferenza sulle politiche delle professioni infermieristiche, cercando di osservare questo principio, tenendo conto che come esseri umani possiamo sempre cadere in errore. 

A parte alcune parole dette a vantaggio della figura dell’infermiere di famiglia/comunità, rivelatosi figura risolutiva e legante, là dove è stato sperimentato, fra paziente/assistito e sistema sanitario, la politica ha regalato parole certamente belle, all’interno delle quali però, una persona come me sia chiaro, non ha riscontrato l’esplicitazione di significati particolarmente pregnanti. 

Del resto erano stati chiamati i rappresentanti politici delle regioni del nord più virtuose, quindi non potevano emergere sbavature di particolare rilievo. Si trattava, nella maggioranza dei casi, di medici e quindi, come spesso avviene, nei ruoli apicali di rappresentanza sono onnipresenti sempre loro, oppure qualche giurista. Cosa c’è di male? 

Nulla ovviamente, sino a quando questi signori perseguiranno gli interessi di tutti e non faranno lobby per regalare vantaggi ad amici, colleghi e conoscenti. Poi, all’attenzione di tutti è comparso un numero che potrebbe ritenersi “fortunato”: 367; rappresenta tutti coloro che afferiscono a posizioni dirigenziali infermieristiche, di ogni ordine e grado. 

Tutti gli altri sono circa 450.000 infermieri, che fanno funzionare (pare decisamente bene, confrontandoci con i nostri Paesi cugini) il SSN, ma non certamente a parità di stipendi. 

Il club del 367 parrebbe interessato, a mio personale avviso ovviamente e in modo assolutamente legittimo, a perseguire un interesse, che magari ciascuno di noi, al posto loro, troverebbe logico perseguire, cioè quello di uscire dal comparto senza necessariamente doversi tirar dietro tutto il resto del carrozzone, in questo caso i “colleghi” possono attendere. 

Come potrebbe avvenire? Sinceramente sono il primo a non ritenere possibile una cosa del genere, anzi mi rifiuto di crederlo, perché chi è chiamato ricoprendo posizioni apicali a dimostrare, perseguire e nutrirsi, di quel sano buon esempio indispensabile alla nostra convivenza sociale e alla crescita delle generazioni a venire, non può neppure prendere in considerazione comportamenti che vadano in senso apofatico al predicato che doverosamente dovrebbero geneticamente perseguire. 

Quindi espliciterò i miei pensieri sotto forma di pura fanta infermieristica. Come oneri a carico dello Stato ci dovrebbe essere una cifra intorno ai 4 milioni di euro, tenete presente che la FNOPI ci costa oltre 5 milioni di euro l’anno, quindi non impossibile da trovare all’interno dei vari fondi contrattuali. Dinamica: conservando una normativa già esistente, sarebbe sufficiente il sibilo di quelle cose che vengono comunemente definite “emendamenti”, quelle modifiche o se preferite alterazioni spesso sottili, apparentemente marginali, poche parole che non devono superare mai una riga e voila… il senso di un articolo di legge muta nella direzione o nella misura in cui lo si desidera far mutare: e i nostri “colleghi” dirigenti escono dal comparto. 

Ma chiaramente è impensabile una cosa del genere, tempo perso a scriverne. Quindi per non far perdere troppo tempo anche a voi che avete la bontà di leggere queste righe avviamoci verso la conclusione. Attualmente è possibile diventare dirigenti infermieristici senza aver fatto veramente l’infermiere per un solo giorno come titolare, al di fuori del tirocinio clinico previsto dal triennio di base. 

Senza aver terminato il ciclo di studi triennale si può sostenere il test di ammissione alla laurea magistrale e, sempre e solo per meriti e capacità, i più preparati ottengono il titolo di studio, per poi accedere ad ulteriore formazione specialistica nel settore specifico e occupare ruoli dirigenziali ai massimi livelli, senza un solo giorno di vera esperienza clinica, gestendo il governo di una professione che di fatto non hanno mai esercitato in prima persona come titolari di vere responsabilità. 

Qualcuno mi aiuti: è un’anomalia che vedo solo io? È tutta e solo italiana oppure in altri Paesi civili esiste la medesima possibilità? Per poter chiedere di essere iscritto nelle liste dei CTU si richiedono dieci anni di esperienza clinica e per fare il dirigente no? Io devo sapere di un mio dirigente che mi governa non avendo mai esercitato la mia professione? 

E come potrà mai governare se non attraverso la narrazione di qualcun altro, nella speranza dell’onesta oggettività di quest’ ultimo? Già, l’oggettività da cui siamo partiti. 

Dovrebbe essere lampante che o si esce dal comparto tutti insieme o non ne esce nessuno, o a tutti viene tolto il vincolo dell’esclusività o rimane per tutti. 

Sarebbe opportuno uscire dalle sterili e inutili polemiche fra noi e guardare chi ci sta mangiando sulla testa, pronto a chiamarci “collega” quando ha necessità di chiederci qualcosa, ma poi, quando si tratta di coltivare il proprio orto “colleghi” non lo siamo più, i magnifici 367 abitano luoghi a noi inaccessibili. Naturalmente si è trattato di un racconto fantastico.

Dirigente sindacale Nursing Up Rimini

Dario PorcaroPicsArt_07-08-042416jpgPicsArt_07-04-112135jpg

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